20 marzo 2021

LA CORSA ALLE MATERIE PRIME E GLI EQUILIBRI GEOPOLITICI

 estratto da https://www.notiziegeopolitiche.net/la-corsa-alle-risorse-e-alle-terre-rare/

… In un mondo che sta per raggiungere i 9 miliardi di abitanti entro il 2050, la logica dell’autosufficienza o della minore dipendenza spinge le nazioni più che mai a competere per assicurarsi l’approvvigionamento di materie prime. La competizione per il loro controllo si è intensificata in modo particolarmente evidente negli ultimi anni.

Nel settore agricolo, le rivolte della fame avvenute nel 2008, a seguito del fortissimo aumento del prezzo delle materie prime agricole, hanno accelerato il movimento mondiale per riacquistare terreni coltivabili da parte di investitori stranieri. Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Cina sono tra i principali acquirenti. I loro obiettivi sono Africa e America Latina, dove si trova il 90% della terra arabile non sfruttata. Questi appetiti generano tensione e sfiducia.

La questione degli idrocarburi è sempre al centro dei giochi di potere. Dopo aver sfruttato con successo le proprie riserve di gas di scisto, gli Stati Uniti sono tornati a essere autosufficienti. L’Arabia Saudita, un importante ex fornitore, ora teme un allentamento del legame che univa l’America e la proteggeva dall’Iran. Il suo comportamento febbrile nelle crisi irachena e siriana è in parte dovuto a questa nuova equazione politico-energetica.

Un settore tra tutti appare particolarmente emblematico delle future tensioni intorno alle materie prime e cioè quello delle risorse minerarie. Dalla fine degli anni ’90 la crescita economica globale ha fatto lievitare il prezzo delle materie prime, in particolare quelle estrattive. La fine delle risorse facilmente accessibili ha forti implicazioni geopolitiche: innesca la corsa a nuove risorse fino ad ora protette dalla difficoltà di estrarli dai loro ambienti ecologici (poli, altura offshore, fitte foreste) o da ostilità geopolitiche.

Si riaffaccia allora lo spettro del nazionalismo delle risorse (cioè sfruttare per sé le proprie risorse)? Certamente. Oggi va oltre i casi ben documentati di Russia, Bolivia o Cina. L’informazione è passata inosservata, ma il Madagascar, a lungo terreno di sfruttamento passivo degli appetiti delle multinazionali estrattive, ha annunciato nel settembre 2014 la creazione di una società mineraria pubblica per sfruttare in piena sovranità le risorse del paese.

Facciamo un altro esempio. Boeing e United Technologies Corporation hanno deciso di fare scorta di titanio, una sostanza essenziale per l’aeronautica, poiché rappresenta dal 15 al 20% dei metalli utilizzati in un aereo moderno. Chi è il principale fornitore di titanio nel mondo? Il gruppo russo VSMPO. Le suddette società americane, la cui decisione è stata rivelata in agosto, temono possibili ritorsioni nel contesto della crisi ucraina (nella quale gli Usa e la Russia parteggiano per fazioni opposte).

Lo scontro cino-giapponese del 2010 intorno alle isole Senkaku, ripreso nel 2012 e nel 2013, ha portato Pechino a limitare le sue esportazioni di terre rare in Giappone. Questo gruppo di 17 metalli, la cui produzione è dominata dalla Cina, è essenziale per la fabbricazione di prodotti ad alta tecnologia, uno dei punti di forza dell’economia giapponese. Tokyo si è trovata improvvisamente indebolita. E non è passato molto tempo prima che reagisse. Il 13 marzo 2012 il Giappone, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ha presentato una denuncia all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), denunciando le restrizioni imposte dalla Cina all’esportazione delle sue terre rare. Pechino è stata condannata nel marzo 2014, senza tuttavia porre in essere mutamenti a livello politico.

Già nel 2012, il Ministero dell’Industria giapponese aveva annunciato che nuove partnership con Kazakistan e Australia gli consentivano di ridurre drasticamente la dipendenza nazionale dalle terre rare cinesi e la casa automobilistica Toyota è una delle società che investe di più nel settore minerario in Canada e Australia, ancora una volta per ridurre la dipendenza del Giappone dalle terre rare cinesi.

Di fronte alle questioni geoeconomiche dell’approvvigionamento di metalli e minerali e al ricatto dell’offerta da parte dei paesi produttori, una strategia è la diversificazione degli approvvigionamenti a lungo termine. L’Europa si trova in una posizione particolarmente critica. Da un lato la maggior parte della crescita della domanda mondiale di metalli e minerali è ora guidata dai nuovi paesi industrializzati (Cina, India, Brasile), spinta sia dalla necessità di soddisfare le esigenze del proprio sviluppo sia dal trasferimento di una parte delle industrie pesanti e manifatturiere dall’Europa verso questi paesi. D’altra parte, più dell’80% delle risorse metalliche è prodotto in paesi al di fuori della zona europea: Nord e Sud America, Russia, Asia o Australia.

L’Europa ha forte necessità di questi metalli perché l’industria estrattiva non energetica fornisce settori come l’edilizia, la chimica, l’automotive, l’aerospaziale e persino la costruzione di macchine e attrezzature, che generano un valore aggiunto in Europa di circa 1.324 miliardi di dollari, per circa 30 milioni di posti di lavoro.

Dopo due decenni di inattività, nel Vecchio Continente stanno emergendo alcune iniziative positive, in direzione di una maggiore autonomia. Nel settembre 2014 più di 170 aziende si sono riunite per creare “Metallurgy Europe”, un complesso europeo per la ricerca e lo sviluppo nel campo dei metalli.

Le tensioni sulla disponibilità di determinati materiali minacciano interi settori delle industrie nazionali. Tanto più che alcuni paesi a volte si trovano, a causa del loro potenziale naturale (giacimenti di materie prime) e della mancanza di investimenti dei loro partner, in una situazione di monopolio: se la Cina fornisce il 97% delle terre rare del mondo così come il 93% di magnesio e il 90% % di antimonio, il Brasile rifornisce il 90% della domanda mondiale di niobio e gli Stati Uniti l’88% di quella di berillio.

Per fronteggiare questo rischio le maggiori potenze mondiali hanno già definito strategie specifiche per garantire la disponibilità delle risorse che considerano strategiche, indipendentemente dai rispettivi rapporti diplomatici con gli Stati che dominano la produzione di ciascuna sostanza. Gli Stati Uniti, la Russia e la Cina hanno messo in atto politiche per la gestione delle scorte, il controllo del flusso e la protezione delle aree di produzione. Gli investitori cinesi si sono interessati all’estrazione di terre rare in Grecia nel 2014 e la "Geological Survey" americana, ha effettuato nel 2006 un’indagine aerea del suolo afghano, che avrebbe consentito di mappare le risorse minerarie del Paese, di cui abbonda.

Ultimo esempio: sullo sfondo della crisi ucraina i russi stanno valutando la creazione di un cartello di terre rare con i cinesi. La Russia ha infatti le maggiori riserve (stimate al 20% delle riserve conosciute) dopo la Cina. Inoltre, le potenziali aree di sfruttamento in Russia conterrebbero tutte le 17 terre rare, a differenza di molte altre riserve conosciute nel mondo. I russi hanno quindi tutte le ragioni per sfruttarli, visto il calo della produzione cinese, che costringerà Pechino a diventare importatore, ma anche la crisi con Stati Uniti e UE, che spinge Mosca a giocare tutte le leve di ritorsione a sua disposizione. 

A questi esempi principalmente presi nel campo delle risorse minerarie si devono aggiungere le tensioni sulle materie prime agricole e sugli idrocarburi. Il mondo sembra essere entrato in un periodo di guerra economica per le materie prime

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